Miss S./ Luglio 20, 2023/ Vita

Oggi è il mio giorno. Quel giorno in cui mi alzo e vado a fare colazione al bar e decido di andare in un parco a stendermi per starci tutto il tempo che desidero.

Voglio non pensare a nulla, anche se alla fine non ci riesco mai. Perché penso al fatto che non devo pensare a niente e questo è già un pensiero.

Arrivo al bar e chiedo se posso sedermi al tavolo e il cameriere mi chiede “Quanti siete?”, e io rispondo “Una”. In due battute si riassume tutta la mia vita. 

Oggi è il mio giorno. Quel giorno in cui voglio stare al sole come una lucertola e perdere i sensi. Voi non vorreste perdere i sensi? Non posso prendermi un anno sabbatico per dormire? Fanculo le aspirazioni, i progetti, le performance e i desideri, io non voglio fare più niente. Questa vita non mi merita, e non mi interessa niente che io sia qui per curarmi le ferite, ok? Queste cinque ferite mi ricordano la colazione ai 5 cereali, quelle robe sane con cui iniziare la giornata. Ecco, la vita a noi invece inizia con le ferite, ma quanto è stronza?

Che poi a me sta’ cosa che bisogna soffrire per capire le cose e trasformarci, mi devasta. Mi devasta, lo vedo dire. Perché per colpa di questa cosa qua io la vita non me la riesco a godere, se mi capita una cosa bella io non ne godo davvero al 100%. Mai. Non ce la faccio. Arrivo al massimo a un 70%, e mi tengo quel 30% di cuscinetto perché non si sa mai. Mi devasta sapere che c’è un perché dietro a tutto ma allo stesso tempo anche io cerco un perché nelle cose. Però tutto questo è stancante. È stancante per me sapere o pensare che il dolore ci nobiliti, che ci dia accesso all’esistenza. Come superare un anno scolastico ma portarsi dietro qualche debito a settembre, così la vita fa con noi, ci rende debitori dal principio. Ci si accolla. 

Oggi è il mio giorno. Ho scelto una panca dove mettermi a scrivere, prima di andare a sdraiarmi sul prato. E ora trascrivo quello che ho pensato, quindi ho pensato, sì. Machecazzo.

Ho ripensato al discorso della Guerra e ho capito che non ce la faccio. Non ce la faccio ad avere realmente un pensiero e tutto questo mi devasta. Ancora. 

Mi opprime, per non continuare a scrivere “mi devasta”, perché mi sembra di vivere nella società del “Io penso questo, e tu?”, io niente, vorrei dire, ma non è possibile. Per me c’ha fregato Cartesio con quella storia del “cogito ergo sum” e quindi se non pensiamo non esistiamo. Se qualcuno di loro avesse detto “lasciamo perdere, va bene lo stesso”, per me le cose sarebbero andate diversamente. La cultura classica ci avrebbe legittimato a fare schifo e non sarebbe poi arrivato Facebook a domandarci “A cosa stai pensando?”, ma questo è, c’amma fa’.

Continuando a pensare, ho capito che non posso capire e sapere tutto ma ho capito che non posso nemmeno dubitare di ogni cosa per far parte della corrente di pensiero “Io penso questo”. Posso farmi delle domande, posso esercitare il pensiero critico, posso provare empatia ma non posso e non voglio arrivare al punto tale da dire “Se Putin ha reagito così non può essere solamente un pazzo”. 

Sarebbe per me come pensare che gli uomini uccidono le donne per esasperazione. Ehi aspetta, non può essere solamente un pazzo, ci sarà per forza un motivo. Per me un motivo c’è ma non mi interessa, a me interessa che quegli uomini si curino, facciano un percorso, si rendano conto di non possedere niente e nessuno. Perché se questo non accade, quel motivo continuerà a essere sempre lo stesso e saperlo non cambierà il corso delle cose.

Dubitare è necessario ma non deve diventare, almeno per me, un escamotage per allontanarsi a tutti i costi dalla realtà per costruirne un’altra che aderisca meglio al mio modo di essere. 

Putin non sarà pazzo, o forse sì, quell’uomo non sarà esasperato, o forse sì, ma intanto uomini e donne continuano a morire per mano loro. E a me non interessa sapere perché lo ha fatto, a me interessa sapere che non lo rifaccia più, perché si può non essere d’accordo con le altre potenze che siedono ai tavoli del potere, ma non per questo si fa scoppiare una guerra. Si può soffrire perché una donna non ti vuole più ma non per questo non lo si accetta e la si ammazza. A me non interessa che entrambi abbiano le loro ragioni, a me interessano le loro azioni. 

Avranno le loro ferite? Quali delle cinque? È interessante saperlo? Forse sì, forse no. Anzi, sapete cosa vi dico? A me non interessano le ferite di Putin e di tutti quegli uomini che uccidono le compagne o mogli, che si fottessero. A me non interessa che Putin da piccolo venisse bullizzato e quindi abbia poi imparato la tattica del “attaccare per prima, attaccare più forte”. A me non interessa, a me interessano le azioni.

Anche io ho le mie ferite, ma uso l’ironia per stare in questo mondo, per provarci. A volte il sarcasmo, a volte parole pungenti per ribaltare chi non mi piace o che per me fa cose ingiuste. Per me le parole sono come coltelli, a volte le affilo per colpire. Altre sono come cucchiai che raccolgono e accolgono. Decido io come usarle ma in ogni caso, che siano coltelli o cucchiai, non toglieranno mai nulla all’altro.

La domanda per me più importante è: “Era necessario?”.

Ascolterò le risposte degli analisti, dei giornalisti, degli studiosi, ma non oggi.

Oggi è il mio giorno. 

Oggi seguo le parole che Antonio Capuano dice a Fabietto nel film di Sorrentino “E’ stata la mano di Dio”.

Non ti disunire, gli dice. E quelle parole mi sono arrivate come…come quando guidi e all’improvviso un raggio di sole ti ferisce lo sguardo e non vedi più la strada, e allora abbassi lo specchietto e ti fai un po’ indietro per capire se così va meglio. Se puoi continuare.

Quelle parole per me sono disarmanti. 

Non ti disunire. Che uno sul momento può anche pensare “ma che cazzo vuol dire?”, ti arrivano ma allo stesso tempo ti sfuggono, come la strada davanti a te dopo quel raggio di sole.

Allora ci provo. Non mi disunisco, resto e provo a capire ma non tutto.

Solo il necessario, quanto basta.

Foto di Alaeddin Hallak su Unsplash

Share this Post