Merda, merda, merda! Lo si urla insieme ogni volta prima di un nuovo spettacolo o una nuova replica a teatro.
Marzo 2018.
Non è il primo spettacolo teatrale che porto in scena: dal 2014 ho deciso di uscire dalla “comfort zone” e il teatro mi è sembrato un buon modo per spezzare la routine della mia vita.
Non sapevo quanto questa decisione avrebbe modificato il mio concetto di “normalità”.
La mia scelta è caduta su “BEAT scuola d’arte” a Fizzonasco, paese famoso per il mercatone dell’arredamento e le sue majorette che però io, non essendo milanese d’origine, non conoscevo.
La scelta, dicevo, si è basata su fattori poco rilevanti dal punto di vista artistico perché fino allora io il teatro l’avevo sempre e solo visto e non conoscevo i criteri di valutazione idonei.
Ho deciso in base a:
- Posizione geografica: la scuola era a metà strada tra casa e lavoro
- Orari serali dei corsi
- Ottima usabilità del sito internet. Non ci posso fare nulla, come lavoro pigio i tasti di un computer e per me un bel sito vale più di mille parole.
Mi è andata bene: il primo anno ho fatto un “semplice” percorso di training teatrale. Ho cominciato a febbraio, il corso era cominciato già da quattro mesi ma non essendo finalizzato ad uno spettacolo era sempre aperto per chi voleva aggiungersi.
Facevamo esercizi teatrali, giochi e improvvisazioni; da soli, in coppia, o in gruppo, cose semplici.
Detto così sembra poco ma per me improvvisare equivaleva ed equivale tuttora quasi sempre a sbagliare e non è facile per nessuno accettare di sbagliare davanti agli altri anche se sono i tuoi compagni di corso e siete in un ambiente protetto.
Quando improvvisi ogni buona idea ti viene in mente non appena hai finito. E indietro non si torna.
Gli altri mi apparivano sempre più bravi e spigliati e io non ne azzeccavo una a pagarla oro.
Quasi sempre a fine improvvisazione mi capitava di ripensare a quello appena fatto e… mi sembrava di aver fatto schifo.
Mi sentivo spesso fuori posto e in errore anche se il mio maestro, Marco, ripeteva sempre come se fossero dei mantra che:
- A teatro l’errore non esiste.
- Durante l’improvvisazione le tue azioni devono nascere dall’altro.
- Bisogna adeguarsi all’aspirazione del momento.
Ogni tanto, quando parla, Marco sembra Yoda lo so.
Ma nonostante tutto questo, finita la lezione mi sentivo meglio di prima quindi ho deciso di andare avanti.
L’anno successivo ho continuato il training e ho aggiunto la messa in scena, sempre su consiglio di Marco: in realtà io avrei voluto tergiversare ancora un anno, ma per lui era il momento giusto di crescere e a cosa serve un maestro se non ti fidi del suo giudizio e non lo ascolti?
Da allora ho preso il via facendo uno spettacolo all’anno. Dopo 4 anni però mi è sembrato giusto provare qualcosa di diverso e ho cercato un’altra scuola pur continuando con BEAT e mi sono trovato a fare lezioni di training e di teatro tre, quattro sere la settimana.
I corsi di Marco erano più “spirituali” mentre quelli con le due nuove maestre, Demetra e Donata, più fisici, strani e fuori dagli schemi.
Ho cominciato con loro un corso di tre mesi con messa in scena finale in teatro, un tempo brevissimo rispetto a quello a cui ero abituato ma è stata un’esperienza intensa e soprattutto piena di divertimento e risate.
Con le mie nuove compagne siamo diventate subito sorelle, un branco di prime donne che non perdevano occasione di mettersi al centro dell’attenzione. Fantastiche!
I giorni sono volati e il giorno della prima è arrivato in un lampo.
Immagina la scena.
Teatro da 200 posti, uno spettacolo il sabato, uno la domenica pomeriggio e una terza replica aggiunta all’ultimo momento la domenica sera perché ci sono state troppe prenotazioni.
Alle tre del pomeriggio siamo tutte in teatro (o quasi) per fare una filata, per provare le luci e per il “trucco e parrucco”.
Siamo ventuno galline scalmanate e starnazzanti, nel piccolo camerino del teatro Verdi non ci stiamo perciò ci piazzano dentro al bar che in quel periodo è chiuso.
Mettiamo giù le valigie e ci spostiamo in sala, familiarizziamo con l’ambiente, facciamo le prove, testiamo le luci e sono già le 18.
Andiamo a prepararci, mancano due ore e mezza.
La preparazione è un rito e va fatta con calma, io comincio dai vestiti.
- calze a rete.
- Un reggiseno imbottito ma non troppo comprato per l’occasione.
- Vestitino blu con maniche lunghe, uno spropositato numero di brillantini e gonna sopra al ginocchio preso apposta da una delle sorelle per me: viene da un mercatino vintage di New York ed è una meraviglia.
- Collana e orecchini esageratamente vistosi.
- Scarpe tacco dieci perché col dodici non riesco a ballare.
Truccarmi non è mai stato il mio forte ma come splendide fate ecco giungere per darci manforte le sorelle maggiori, quelle dei corsi degli anni precedenti, sempre pronte ad aiutare le nuove sorelline.
Erabella mi prende sotto la sua ala protettiva e con eyeliner, mascara, fondotinta, ciglia finte e soprattutto chili di glitter fa di me una vera regina.
Ogni tanto, visto che il nostro “camerino” affaccia sul foyer del teatro sbirciamo dalle tende per vedere il pubblico.
Mentre sono lì a guardare noto Luca, scosto la tenda, incrocio il suo sguardo, lo saluto. Lui non risponde.
Mi rendo conto che non ha capito chi sono, sorrido e lo saluto di nuovo.
Vedo la meraviglia nei suoi occhi. Sono bellissima, lo so, e lui non se lo aspettava.
L’attesa mi sta uccidendo. Cresce l’euforia di pari passo con la paura.
Finalmente è ora di entrare.
Merda, merda, merda!
Gli spettatori sono tutti in platea, noi usciamo dal bar e ci riversiamo nel foyer. Entriamo in sala partendo dal fondo, la attraversiamo tutta passando tra le file e facendo le civette: siamo in scena e dobbiamo interagire il pubblico.
Vedo sul mio percorso un altro amico, Stefano. Non so perché ma è in piedi anche se non dovrebbe, non me lo lascio scappare. Gli vado incontro e con la mia voce più sexy gli dico “siediti tesoro”. Capisco che anche lui non sa chi sono e lo vedo in imbarazzo. Se potessi mi fermerei per prenderlo un po’ in giro ma è ora di salire sul palco, lo spettacolo deve cominciare!
Mentre avanzo incrocio lo sguardo di Marco che mi sorride. Gli sorrido di rimando. Lui ha visto oltre il mio trucco, non avevo dubbi.
Raggiungo il mio posto sul palco, passerò la maggior parte dello spettacolo sul lato sinistro.
Le maestre sono state magiche, ognuna di noi ha il suo momento di gloria: un pezzo parlato, un ballo, una canzone.
Il tempo vola e tutto va magicamente bene.
Applausi scroscianti.
Bene, brave, bis!!!
È finita, possiamo scendere tra gli amici in platea, ci sono tutti quelli che mi avevano detto che sarebbero venuti, sono felice!
Le mie amiche di Modena, la mia città di origine, mi stupiscono con un mazzo di fiori, e sono seguite a ruota da un secondo bouquet portato dai colleghi.
Mi guardo attorno, sono l’unica che ne ha ricevuti due, osservo le mie sorelle e penso “fate spazio, passa la regina!”
Vado dalla mia ragazza appoggio i fiori e la bacio.
Ride mi dice che è strano essere baciata da una donna.
Mi Tolgo la parrucca e la bacio di nuovo.
Ripete che è strano lo stesso.
Io non sono una donna e non lo sarò mai: io sono Stefano, in arte Nellenia e ogni tanto sono una Drag Queen.
Foto di Hulki Okan Tabak su Unsplash